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martedì 12 dicembre 2017

Recensioni Narrativa I VIAGGI DI GULLIVER di Jonathan Swift.




Autore: Jonathan Swift.
Genere: Fantastico.
Anno: 1726.
Edizione: Varie.
Pagine: 286.
Prezzo: 7,90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
La recensione odierna ci permette di parlare di un'opera cardinale nell'ambito del fantastico e della letteratura inglese. E' il 1726 quando, in forma anonima, esce in Inghilterra I Viaggi di Gulliver. Apparentmente è uno dei tanti libri di viaggi che inondano le librerie dell'epoca, in realtà è un qualcosa di molto diverso, un volume che farà storia pur prospettando storie incredibili che vanno oltre la realtà. Swift confeziona un'antologia di fanta-sociologia costruita da diverse prospettive di veduta. Uno Swift satirico, divertito e divertente che regala sprazzi di umorismo e di momenti che oggi qualcuno definirebbe trash (seppure tremendamente inteliggente) per dar sfogo a una feroce critica alla natura della razza umana. Un'opera che delinea i contorni di un vero e proprio grande maestro, altro che autore di un romanzo per ragazzi, questa è un'opera che si dovrebbe rileggere ogni tanto per fare un paio di riflessioni che vadano oltre al mero materialismo che conduce le sorti del mondo. Dunque uno Swift all'apparenza leggero ma che infligge un affresco marcato a fuoco che lascia il segno e colpisce duro nel profondo.
Il protagonista, appunto Gulliver, è un chirurgo globe trotter a caccia di avventure in giro per gli oceani, tanto coraggioso quanto personificazione delle idee dell'autore. Un individuo che racconta, in una sorta di libro dei viaggi, le proprie avventure verificatesi in un arco temporale di sedici anni. Va in giro perseguitato da una (s)fortuna che gli permette inconsapevolmente, tra un nubifragio e un altro, di oltrepassare le barriere del mondo conosciuto per penetrare in una sorta di realtà parallela che Gulliver spaccia per reale, pretendendo di dire la verità a differenza dei colleghi autori di libri di viaggio (esilarante anche in questo).
Nella prima avventura il protagonista, naufragato in pieno oceano, ripiega a nuoto su un'isola sconosciuta. Stanco per la fatica, si addormenta sulla spiaggia e al risveglio si trova, legato come un salame, proiettato in quello che sembra esser un altro mondo. “I nostri filosofi sono inclini a pensare che tu sia piovuto dalla luna o da una stella“ diranno più tardi di lui gli abitanti di Lilliput: un microcosmo uguale in tutto e per tutto alla società umana se non fosse che tutto è ridotto in scala. Uomini alti non più di quindici centimetri, alberi alti due metri, animali terrestri ma ridotti in scala e poi bastioni, palazzi e una struttura sociale e politica assimilabile a quella umana.
Alla stregua di un elefante in un salotto, Gulliver si trova a troneggiare in mezzo ai lillipuziani da cui riceve istruzione e contratti sociali da firmare. Ne conquista la fiducia prima, poi esegue quanto da loro ordinatogli, contribuisce alla disfatta della città rivale (Blefuscu), ciò nonostante la sua presenza diviene presto ingombrante per tutti. Consuma una quantità di cibo esorbitante per i lillipuziani, è un pericolo potenziale di distruzione di massa, inoltre una sua eventuale morte comporterebbe il rischio di una peste dovuta ai processi putrefattivi di una carcassa dalla mole mastodontica.
Swift tocca punti di ironia assai divertenti per evidenziare quanto i sovrani siano fin troppo inclini a fare i c.d. “soli al comando“, al punto da cancellare il ricordo degli aiuti ricevuti persino da esseri, se vogliamo, superiori, come l'uomo montagna che sembra un qualcosa di assimilabile ai grandi antichi delle leggende legate alla realizzazione di monumenti quali le piramidi di Giza o Stonehenge. “Tanto insignificanti sono reputati i servigi resi ai regnanti, quando vengano contrapposti al rifiuto di compiacere alle loro passioni!“ A nulla serve che l'uomo montagna rispetti gli impegni, a poco a poco, la volontà di controllarne la vita porta i lillipuziani persino a valutare l'opportunità di abbatterlo. Pensate un po', mi è venuto da pensare, al potenziale rapporto tra uomo e Dio col primo presto tentato a togliere di mezzo il secondo, così da poter disporre poi a proprio piacimento. 
Racconto importante anche sotto il mero profilo fantastico, che sta alla base di futuri celebri racconti firmati Ballard, Matheson, ma anche e soprattutto Campo di Battaglia di Stephen King. Swift descrive infatti gli attacchi di questi uomini in miniatura al grande gigante, con frecce, archi e coltelli vari. Scene che potrebbero sembrare assimilabili all'offensiva di uno sciame di tafani (per strizzare l'occhiolino a Socrate, elogiato nel testo da Swift) a un uomo.
Al di là della natura fantastica, l'opera è soprattutto un mezzo per ridicolizzare politici e fare parodia sulle abitudini di onnipotenza dei sovrani. Swift si diverte nell'evidenziare come il motivo di scontro tra Lilliput e Blefuscu si regga su una banalità come la modalità da adottare e da seguire per poter bere da un uovo. Un ordine tale da determinare addirittura uno scisma religioso (nel testo si fa riferimento a un libro sacro che viene definito come il Corano, sembrerebbe leggersi tra le righe già a quei tempi una critica all'estremismo musulmano). Esilarante quando fa spegnere un incendio scoppiato nel palazzo della regina facendo urinare Gulliver dall'alto della sua possenza (viene in mente la canzone di Dalla Se io Fossi un Angelo), una soluzione, pur se efficace, reputata altamente offensiva al punto da valergli la condanna a morte. Anzi no, alla cecità perché in fondo il sovrano è un magnanimo tanto da pretendere un gesto di riconoscimento del gigante così da indurlo a sottoporsi spontaneamente alla disposizione permanente del proprio organo della vista.  La fuga da questo mondo sarà la salvezza di Gulliver passato da oggetto alieno a eroe nazionale e infine a ingombrante minaccia da togliere di mezzo. Una fine propria, del resto, a tutti gli eroi.

Da un punto di vista narrativo, l'avventura di Lilliput è quella più coinvolgente, tuttavia la verve satirica dello scrittore irlandese emerge in modo prepotente con i successivi tre racconti. Swift non tarderà, del resto, nel farsi conoscere quale "penna temibile e caustica". Nella successiva avventura a Brobdingnag, Gulliver si trova in una situazione diametralmente opposta a quella di Lilliput. Questa volta è lui l'essere di pochi centimetri, mentre tutto il resto è gigante. Sembra di rivivere l'avventura che caratterizzerà il protagonista di 3 Millimetri al Giorno di Richard Matheson. Il passaggio tra le due avventure delinea quindi I Viaggi di Gulliver quale antologia delle diverse prospettive, un modo per indurre il lettore a pensare e a calarsi nelle diverse situazioni al fine di cercare di comprendere ciò che è veramente giusto. Gulliver diviene una sorta di animale domestico che deve divertire gli uomini e che deve ballare allo sfinimento per loro, un po' come l'uomo fa con certi animali (si pensi ai cavalli). "Il padrone, che cominciava a rendersi conto di quali guadagni gli avrei procurato, decise di portarmi a fare il giro delle città più importanti del regno... ero stato sottoposto a una vita così massacrante che la mia salute era seriamente minata per lo strapazzo di dover divertire la marmaglia a ogni ora." Dunque il tema dello sfruttamento, ma anche una diversa altezza in cui vivere e che trasforma animali come topi e gatti quali mostri con cui combattere per aver salva la vita.
Swift pensa a tutto, rende i suoni di Brobdingnag paragonabili a boati (contrapposti alla silente voce dei micro-abitanti di Lilliput) e presenta i volti dei giganti alla stregua di visioni effettuate dalla lente di un microscopio con le imperfezioni della pelle e la presenza di parassiti che rendono abominevole, agli occhi di Gulliver, la vista di questi esseri. "Lo spettacolo più ripugnante era costituito dai pidocchi che brulicavano sulle loro vesti, tanto più che vedevo questi insetti distintamente mentre grufolavano con i grugni porcini, molto meglio di quanto si possa studiare al microscopio i pidocchi europei.
Al di là della componente fantastica comuqnue curata, ciò che veramente interessa all'autore è trovare il pretesto per parlare della sociologia a lui contemporanea e metterla a confronto con quella dei mondi fantastici. Già dal secondo racconto inizia a prendere piede in modo spiccato il trattato socio-psicologico che diventerà sempre più prevalente nelle due successive storie. Ogni occasione è buona per sparar contro ai vizi della natura umana e all'atteggiamento egoistico proprio dei politici ("un primo ministro sa usare la lingua per tutto meno che per esprimere quello che pensa; non dice mai la verità o se la dice la fa passare per una menzogna"), dei nobili (presentati come uomini deboli, malaticci frutto di rapporti incestuosi), avvocati ("corporazione che si è creata un proprio gergo incomprensibile ai comuni mortali, nel quale redige le proprie leggi che cerca in tutti i modi di moltiplicare, fino al punto che il vero è indistinguibile dal falso, il giusto dall'ingiusto"), medici e soldati ("mestiere più nobile è quello di un soldato, il quale viene pagato per uccidere a sangue freddo quanti più simili gli è possibile senza che questi gli abbiano fatto nulla"). Swift spara a zero, senza mezze misure e senza speranze in un pessimismo che vede poco di buono. I governatori di Brobdingnag evidenzieranno al protagonista quanto il suo mondo ormai si sia deteriorato nella corruzione. Da questo punto di vista Swift arriverà ad anteporre, con l'ultimo dei quattro racconti, i cavalli all'uomo (mostrato alla stregua di una bestia scimmiesca, dispettosa, sporca e vorace proprio come a noi appaiono i maiali), in quanto creature pure che non conoscono la menzogna e non si lodano delle proprie virtù non avendo secondi fini o malizie funzionali a strappare vantaggi. Sempre in quest'ultimo racconto Swift continua a giocare sulle prospettive. Ribalta il rapporto uomini-cavalli e rende i secondi le creature dominanti. La componente narrativa si assottiglia a favore dello studio sociologico del mondo degli Houyhnhnms, cioè i cavalli parlanti che hanno assoggettato l'uomo (gli yahoo) a un essere schiavo e inferiore. Swift sfrutta la questione per condannare, più che la società della sua epoca come mi è capitato di leggere in svariati commenti, la razza umana in toto e al di là dei periodi storici. In altre parole lo scrittore irlandese sposa le teorie del quasi contemporaneo Thomas Hobbes e del suo concetto homo homini lupus. L'uomo, caratterizzato quale una bestia che si difende cacando addosso ai nemici (alla stregua di una puzzola), è un essere abietto, che attacca i propri simili per avere la supremazia in un gruppo. Un qualcuno che non è assoggettato ai principi basilari dell'onore, della giustizia, della temperanza, della verità, dell'amicizia e della benevolenza, ma una creatura capace di sfruttare quel poco di ragione solo per moltiplicare i vizi e conseguire vantaggi propri e non collettivi. Gli yahoo rappresentano dunque la forma embrionale della natura umana che non può che portare, in una società maggiormente sviluppata, alla guerra e alla distribuzione squilibrata delle risorse in favore del più forte. Aspetti questi ultimi che sono estranei ai cavalli e che sono sempre di moda pure tre secoli dopo la scrittura del romanzo (altro che critica alla societa inglese del settecento). Il gioco delle diverse prospettive induce Gulliver a una sorta di auto-analisi che lo porta a discostarsi dalla razza umana, a reputarla un atroce scherzo di natura, quasi un essere del creato macchiato da un peccato tale da farne una creatura malevola. "Quando una creatura che pretende di essere razionale è capace di azioni abominevoli, c'è da temere che la corruzione della ragione sia peggiore della brutalità in se stessa" questo scrive Swift e, probabilmente, ne ha ben donde. 

Nella terza avventura prosegue lo studio sociologico un po' come Bulwer Lytton nell'ottecento farà per il suo famoso La Razza che Verrà. La narrazione viene fagocitata dalla descrizione di usi e costumi propri di un'isola volante, tale Laputa, che viene manovrata grazie a un magnete da collocare in modo diverso alla stregua di una cloche di volo. Una trovata questa che, alla lettura odierna, fa subito saltare in mente un'astronave (si pensi al film Dark City di Alex Proyas) e che evidenzia quanto la fantasia dell'autore fosse sviluppata. Gulliver si imbatte con scienziati estraniati dal mondo e interessati ai loro bizzarri e sconclusionati studi (come generare dagli escementi il cibo originario), tanto da non accorgersi di esser traditi dalle mogli ma anche da dover esser accompagnati da dei servi pronti a richiamarli all'attenzione nei dialoghi della vita comune. Swift critica in questa fase della raccolta la scienza, la magia e si interroga sul senso ultimo della morte vedendo il concetto cristiano della immortalità come una condanna più che un premio (viene presentata una categoria di highlander). Arriva persino a offrire una diversa lettura della storia, grazie all'evocazione delle anime dei grandi personaggi dell'antichità, e come questa possa venire distorta da chi viene incaricato di riscriverla da governi o da particolari orientamenti politici. La manipolazione delle informazioni, delle leggi e delle parole si conferma un tema centrale dell'opera e proprio dell'ipocrisia umana.


Il congedo di GULLIVER dal paese dominato dai cavalli parlanti.  

L'opera si chiude in una critica sui libri di viaggio, all'epoca genere in voga in Inghilterra. Swift scrive che il fine ultimo di un libro di viaggio è raccontare la verità ("sii sempre fedele alla verità") e non meravigliare il lettore romanzando le avventure, così da dar sfogo alle proprie vanità di scrittore o ai propri gusti personali o, ancor peggio, "piacere al pubblico più rozzo". Una visione questa che, ne siamo certi, non sarebbe certo stata condivisa dal nostro Emilio Salgari Una logica infatti non molto lontata dall'attuale narrativa mainstreaming dei tempi odierni orientata alla vendita più che all'impulso artistico o a quello educativo. L'intento principale di uno scrittore di viaggi, dice Swift, è "istruire il lettore e non divertirlo, in quanto il vero scopo di un viaggiore dovrebbe essere migliorare gli uomini, renderli più saggi e temprarne gli animi con esempi buoni e cattivi." Scopo dunque nobile che Swift, a nostro avviso, raggiunge in pieno pur spostando l'angolo di studio dalla mera descrizione dei fatti alla loro analisi allegorica. 


I Viaggi di Gulliver è dunque un'opera fondamentale, a mio avviso, fin troppo superficialmente "declassata" al rango di "narrativa per ragazzi". Costituisce difatti una tappa fondamentale per lo sviluppo della narrativa fantastica con la F maiuscola. Un'opera scritta in modo  scorrevole, specie se consideriamo che è stata scritta nel 1726. Poco importa se il ritmo è talvolta rallentato dalla minuziosa descrizione di usi e costumi, quello che resta è la satira e soprattutto l'introspezione umana operata da Swift, centrale rispetto alla narrazione vera e propria (fa forse eccezione l'avventura di Lilliput). Swift gioca sulle prospettive, sul voler far ragionare il lettore dai diversi punti di vista, ivi compresi quelli degli animali. Il tutto è legato all'obiettivo di mettere in campo una feroce (non certo scorretta o estremizzata) analisi della società e, da ultimo, della natura dell'uomo. L'autore raggiunge lo scopo in modo trasversale, e giammai propagandistico, a beneficio di quella verità che richiama a fine opera quando parla del fine ultimo di uno scrittore. "Non prendo partito per nessuno, ma scrivo sempre scevro da passioni, pregiudizi o malevolenza nei confronti di chicchessia, come di qualsiasi gruppo di persone. Scrivo per perseguire il più nobile degli scopi, che è quello di informare e istruire il prossimo, e credo senza offendere la modestia di eccellere." Viene dunque usato lo strumento della satira per intavolare quella che è, a tutti gli effetti, una sentenza di condanna ai danni della società umana così come si è sviluppata. "Le leggi sono spiegate, interpretate e applicate in maniera ineccepibile da quanti hanno interesse e abilità nel pervertirle, confonderle ed eluderle". La finzione e la strumentalizzazione ordunque quali strumenti di massima ipocrisia per dar vita a un mondo corrotto in mano a poteri forti in perenne contrasto tra loro al fine di trovare fragili equilibri sempre pronti a rompersi per rivolte funzionali, a loro volta, a ricreare ordini iniqui con la promessa della libertà e della giustizia. Su I Maestri della Letteratura fantastica si legge: "Considerare Swift un umorista o un satirico eccezionale sarebbe un limitarlo in modo eccessivo. Swift è uno scienziato e un iniziato, scrive in un linguaggio segreto, si esprime secondo la cabala fonetica, il suo è un messaggio che meriterebbe di esser accuratamente analizzato sotto la luce dell'ermetismo, perché così facendo ci si accorgerebbe che Swift era doppiamente geniale."

JONATHAN SWIFT


"C'erano delle persone istruite fin da giovani nell'arte di dimostrare, con la moltiplicazione delle parole inutili, che il bianco è nero o il nero è bianco a seconda del desiderio di chi paga: tutti gli altri sono al loro cospetto degli schiavi."

"Un trono non si regge se non nella corruzione, mentre il carattere sobrio, serio e aperto del virtuoso è una palla al piede per gli affari di stato."

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