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venerdì 8 settembre 2017

Recensione Narrativa: LE NOTTI DI SALEM di Stephen King.



Autore: Stephen King.
Titolo Originale: 'Salem's Lot.
Anno: 1975.
Genere:  Horror.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 523.
Prezzo: 12.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Terza lettura del 2017 che dedichiamo a Stephen King, l'autore definito dal marketing "il re dell'horror". In questa occasione proponiamo il suo secondo romanzo, iniziato a scrivere nel 1972 e dato alle stampe nel 1975 dopo l'uscita di Carrie. Da molti considerato una pietra miliare nella produzione dell'autore e addirittura del genere, deve molto del suo fascino al fatto di essere stata una delle prime fatiche dello scrittore. Le attenzioni, a mio avviso, sarebbero calate se fosse uscito a metà anni ottanta o nei primi anni novanta e non mi sarei meravigliato se fosse stato tacciato di originalità latente e di evidente battuta di arresto del "maestro del brivido". Si tratta infatti di un'opera che risente della giovane età dell'autore, per il suo presentarsi quale omaggio ai miti dell'infanzia piuttosto che contenitore di un'idea personale o veicolo di un messaggio da trasmettere al lettore sotto l'apparenza di romanzo di intrattenimento. 
King inizia a scriverlo quando ha soli venticinque anni e lo pubblica a ventotto, penso di poter dire, senza grandi pretese (sebbene in prefazione faccia pensare diversamente). Le Notti di Salem (nulla  a che fare con la storica cittadina del Massachusetts luogo del processo alle streghe di fine seicento) non aggiunge niente al genere, estrinsecandosi in un mero ed esclusivo tributo alla figura del vampiro, così come presentato dal Dracula (1897) di Bram Stoker. 

Al centro del romanzo abbiamo il classico "succhiasangue" incapace di resistere a croci, acqua santa, aglio, paletti di frassino e luce solare, del tutto inidoneo a relazionarsi con gli umani e stimolato da meri istinti animali. Non ci sono varianti allo stereotipo reso famoso da Stoker. Abbiamo un "padrone" che vampirizza le vittime e le condanna così alla sua stessa natura, senza resistenze e senza possibilità di redenzione. King si limita a spostare la storia dall'Europa agli Stati Uniti, in un'immaginaria cittadina del Maine che si chiama Jerusalem's Lot (dal nome di una mucca fuggita e inselvatichita al punto da generare strane leggende). Alla stregua di quanto narrato da Stoker, in questa banale cittadina di provincia un giorno giungono due stranieri che prendono possesso di una magione abbandonata che sovrasta dall'alto l'intero paese e che è stata teatro, in passato, di un omicidio seguito da un suicidio. E' una vera e propria cattedrale del male, maledetta da strani riti e sacrifici che si narra esservi stati perpetrati molto prima dell'avvento dei vampiri. "Io credo che quella casa possa essere il monumento di Hubert Marsten al male, una specie di cassa di risonanza psichica. Un radiofaro soprannaturale, se vogliamo.Uno dei due nuovi arrivati è una creatura costruita a immagine e somiglianza del Conte Dracula (seppur assai meno affascinante e aulica). King introduce questa creatura scimmiottando il collega irlandese, pur lasciandola molto più in background. Vediamo infatti degli operai andare al porto per trasportare delle pesanti casse al cui interno il vampiro, verosimilmente, ha viaggiato in incognito dall'Europa. Sulle casse non vi è scritta la natura del contenuto eppure nessuno le blocca e vengono pertanto condotte in casa Marsten (questo il nome della magione maledetta). Da questo momento in poi avranno inizio una serie di strane morti, con successive sottrazioni dei cadaveri, che porteranno all'estinzione dell'intera cittadina avvolta da un pestilenziale odore di putrefazione e da un immobilismo che sa di ipnosi collettiva (chi guarda negli occhi il vampiro ne viene soggiogato e controllato mentalmente).

Non si contano le citazioni o, se mi permettete, le scopiazzature sia da Stoker che da Matheson. Oltre ad alcune scene che richiamano l'uccisione "stokeriana" di Lucy, trafitta da un paletto di frassino conficcato nel cuore dal suo fidanzato alla presenza del poule chiamato a debellare la piaga vampiri, ci sono altri momenti cardinali che sono ricalcati su altri famosi romanzi (l'arrivo del vampiro al porto ne è un esempio) tra cui la parte finale che richiama l'atteggiamento del protagonista de Io Sono Leggenda (1954) di Richard Matheson. Vediamo infatti i protagonisti, tra cui l'immancabile bambino che perde i genitori e lo scrittore ritornato nella cittadina dell'infanzia per esorcizzare i fantasmi del passato (come molti dei successivi personaggi di King ha perso la moglie per un incidente stradale), approfittare del giorno per andare a scovare nei vari nascondigli i vampiri, in una lotta cadenzata dall'alba e dal tramonto che vede le due fazioni darsi il cambio nel ruolo di cacciatori e prede. 
A differenza delle opere di riferimento, lo abbiamo anticipato, manca un discorso autoriale. Se Bram Stoker ha avuto il merito di cristallizzare una creatura poi divenuta mitica e se Matheson ha saputo usare un canovaccio abusato per intessere ragionamenti di carattere filosofico, il giovane King si limita a narrare una storia di vampiri contrapposti agli umani in quello che è un gotico moderno dai contenuti molto classici ed esclusivamente di intrattenimento. 

Possiamo definire Le Notti di Salem un romanzo evitabile, eppure a suo modo degno di interesse ai fini dello studio dell'evoluzione della narrativa dello scrittore del Maine. Sono infatti presenti spunti e momenti che saranno ripresi e perfezionati nei romanzi successivi. Salta subito agli occhi la scelta di eleggere a ruolo di protagonista uno scrittore, caratterizzazione che si ripeterà ciclicamente nell'opera di King (Shining, La Metà Oscura, Misery etc), accompagnato da un bambino coraggioso che resiste al male per il fatto di accettarlo (a differenza degli adulti che rigettandolo, in quanto a loro modo di vedere visto come impossibile, ne vengon sopraffatti). Si prosegue in questo ragionamento con la costruzione di un'atmosfera da incubo fiabesco (si veda la scomparsa iniziale dei due fratellini), su cui King lavorerà anni dopo toccando il suo apice con il romanzo capolavoro It, innestata in un contesto provinciale che anticipa di quasi venti anni un romanzo come Cose Preziose (guarda caso il maggiordomo del vampiro apre, proprio come farà il demone del romanzo degli anni '90, un negozio di antiquariato in paese).
Da sottolinerare infine un altro aspetto che costituirà una caratteristica nella produzione kinghiana ovvero la sfiducia e la dannazione delle autorità religiose. Padre Callahan, interpellato dal gruppo di civili che cercheranno di contrastrare l'avanzata dei vampiri, viene tratteggiato quale un ubriacone che ha perduto la fede e che viene, anche per questo, abbandonato da Dio. Sono le persone comuni allora, addirittura neppure credenti praticanti, a diventare strumenti attraverso i quali si distenderà la "longa" mano del re dei cieli, in una benedizione che non cala l'attenzione sulla devozione ma piuttosto sulla purezza di cuore.

Da un punto di vista tecnico è un romanzo con tensione crescente. Prende le mosse in modo pacato, così da immergere il lettore nella cittadina e farlo familiarizzare con i tanti personaggi. King presenta ognuno di questi in momenti del comune vivere, con banali episodi scolastici, storie di amori che nascono, gelosie e rapporti familiari per poi introdurre a piccole dosi il paranormale nella vita di ognuno di questi per sconvolgere l'equilibrio e far irrompere la pazzia. Sviluppo quindi piuttosto lento, ma stile scorrevole.

Nel 1979 Tobe Hooper ne ha tratto una mini serie per la televisione americana, rimontata in una versione scellerata (con tagli di circa ottanta minuti) per il mercato europeo da destinarsi ai cinema. Ricordo di aver visto il film anni fa e di conservarne un ricordo tutt'altro che entusiasta sia per i contenuti che per messa in scena e make up.

Da evidenziare l'ultima ristampa della Sperling & Kupfer che ha corredato il romanzo di un'edizione illustrata (illustrazioni mediocri e scarse) che è da lodare per la presenza di una sezione in cui sono state riportate le parti di romanzo tagliate a suo tempo dalla casa editrice americana. Sono stati inoltre allegati i due racconti (Il Bicchiere della Staffa e Jerusalem's Lot) che sono stati la base di partenza del romanzo e che i più avranno già letto nella prima antologia pubblicata dall'autore: A Volte Ritornano.

Per concludere è un romanzo agevole da leggere che ha lo scopo di omaggiare la figura del vampiro, così come è stato concepito da Bram Stoker, senza spunti ulteriori e senza trovate geniali. Non costituisce una pietra miliare del genere. Da leggere per i fan di King e per ragioni culturali da chi è studioso di narrativa fantastica. Evitabile per tutti gli altri.


Lo scrittore e il regista de LE NOTTI DI SALEM
si scambiano pareri per concordare cosa fare.
Stephen King a sx, Tobe Hooper a dx.

"Matt, ti rendi conto di che cosa ti succederebbe se ti lasciassi scappare anche sola mezza parola di quello che hai raccontato a me? La gente comincerebbe  a picchiarsi l'indice sulla fronte alle tue spalle. I bambini, quando ti vedranno arrivare, recupereranno i denti da vampiro che usano per Halloween e salteranno fuori gridando: Bu! Qualcuno inventerà qualche filastrocca del tipo: un, due, tre, ora succhio il sangue a te. I colleghi si metteranno a guardarti in modo strano. C'è il rischio che cominci a ricevere telefonate anonime di persone che dicono di essere Danny Glick o Mike Ryerson. Il solo fatto che non sei sposato li indurrebbe a domandarsi se non hai qualche rotella fuori posto. La tua vita diventerebbe un inferno. In sei mesi ti constringerebbero a scappare."


venerdì 1 settembre 2017

Recensioni Narrativa: LA NOTTE DI VALPURGA di Gustav Meyrink.



Autore: Gustav Meyrink.
Titolo originale: Walpurgisnacht.
Anno: 1917.
Edizione: La Bussola Editrice, 1979.
Genere: Fantastico/Esoterico.
Pagine: 230.

A cura di Matteo Mancini.
La Notte di Valpurga di Gustav Meyrink costituisce l'ideale lettura utile a fungere da collegamento col precedente volume analizzato, ovvero Magia Rossa di Manfredi, segnando un deciso passo in alto nella scala esoterico/iniziatica della narrativa fantastica. Ritroviamo infatti in quest'opera il background che stava alla base del romanzo dell'autore italiano pur spostandoci da Milano a Praga. Le similitudini sono evidenti e ricorrenti. La storia è ambientata nel 1917, durante il periodo in cui l'Europa è insanguinata dalla I Guerra Mondiale (meno di venti anni dopo rispetto ai fatti di Milano), e viene innescata da un misterioso personaggio che risponde al nome di Zrcaldo, un attore. Se con Manfredi al centro del tutto c'era un soggetto figlio degli ambienti esoterici dotato di poteri magico-paranormali (fidanzato con un'attrice e anch'esso attore) tanto da riuscire - trasformatosi in spirito - a possedere le persone per orientarle; qua abbiamo un sonnambulo posseduto da un grande maestro orientale, un Manciù che si definisce appartenente al Regno di Mezzo (da intendersi a livello metaforico, cioè il regno sospeso tra quello terrestre e quello celestiale) e riesce a traslare il proprio spirito in corpi diversi dal proprio pur non essendo ancora morto (aweysha il nome di tale fenomenologia). Si tratta di un essere in grado di profetizzare il futuro, indicare il cammino (rompendo la suprema legge del silentium iniziatico) a coloro che possiedono le caratteristiche per poterlo vedere (non tutti gli uomini, a quanto pare, sono uguali, poiché solo alcuni sono maturi per il volo) e di far assumere al corpo che comanda le fisionomie più disparate per concretizzare le ossessioni delle varie persone che incontra (non a caso viene chiamato lo specchio). 
Sia in Magia Rossa che in La Notte di Valpurga troveremo i due personaggi a capo di un moto di rivolta popolare contro i capitalisti, i poteri costituiti e la nobiltà locale che avrà esiti nefasti per i rivoltosi (trucidati dall'esercito). Vediamo quindi come in entrambe le opere l'occultismo e l'esoterismo passino dagli ambienti iniziatici più o meno segreti a quelli popolari di indirizzo politico (deriva alquanto pericolosa come insegna la genesi della Germania nazista).
Vi è poi il tema del doppio e l'idea dell'eterno ritorno sotto altrui spoglie. Se Tommaso Reiner rivive in un ragazzo degli anni '80 in quel di Milano, con Meyrink torna alla carica Jan Zizka, un rivoluzionario che nel 1419 diede il via alla rivolta boema, e lo stesso avviene anche per la protagonista femminile, una giovane baronessa che scopre di avere gli stessi lineamenti di un'antica antenata che finisce per soggiogarla a livello psicologico col fine di difendere il rango aristocratico dall'involgarimento popolare.

C'è poi la magia rossa ovvero la magia sessuale. Se Manfredi accenna al tema dell'ermafrodito crowleiano che punta ad autogenerarsi per conquistare la vita eterna, Meyrink porta in scena direttamente Lucifero che così si definisce: “Io sono il Dio nelle cui mani gli uomini depongono i loro desideri... Io solo posso intendere i desideri, perché fra gli dei sono l'unico che abbia le reni cinte; gli altri non hanno sesso... La radice profonda e nascosta di ogni desiderio risiede sempre nel sesso, anche quando il desiderio sembra non avere nulla a che fare con la sessualità... Io odo solo i desideri dell'anima, per quelli pronunciati dalle sole labbra il mio orecchio è sordo.” Si badi bene che i desideri cui si riferisce Lucifero sono quelli materiali, esaudibili nella vita terrena ma del tutto inutili nell'aldilà (nel testo vedremo così una prostituta bramare per un amore cui non può più tendere perché divenuta decrepita; un medico che rimpiange la gioventù perduta; un violinista che vorrebbe essere Re; e via dicendo).

Questi gli ingredienti base di un romanzo piuttosto lineare, per gli standard dello scrittore, ma complesso nei contenuti filosofico-trascendentali che fungono da sottostrato alla vicenda. Meyrink, seppur marginalmente, introduce la tematica del taoismo che sarà poi esaltata nel successivo Il Domenicano Bianco. Parla infatti di polarità positiva e polarità negativa come principi che reggono ed equilibrano il mondo. Accenna poi alla necessità della ricerca del proprio Io come fine ultimo dell'esistenza terrena così da poter conquistare la propria anima e passare dallo stato di sonnambulo o morto vivente (non a caso Zrcaldo è un dormiente posseduto dallo spirito di un grande maestro) a quello di uomo risvegliato da intendersi il cosciente di sé stesso che ha raggiunto la gioia per il fatto di aver compreso il proprio io e non per aver avuto dei riscontri materiali (per essi si parla di “divertimento”). “Colui nel quale è penetrata la gioia distaccata, la gioia che non conosce causa, costui possiede la vita eterna poiché si è ricongiunto con l'Io , cui la morte è ignota.”

In Meyrink non c'è spazio per l'affidamento a una divinità superiore che intercede a garantire la salvezza e a cui rivolgersi con modi reverenziali. L'uomo non deve esser passivo dovendo invece evolvere in Dio di sé stesso. Si tratta di una visione antropocentrica dove al centro di tutto c'è l'uomo, piuttosto che una struttura gerarchico-piramidale, a cui è affidato il compito di conquistare sé stesso per poter così ascendere ed evolvere al livello degli dei. Dio non è un essere superiore, ma un essere perfetto a cui l'uomo deve e può tendere divenendone pari grado (se mi permettete il termine). Si tratta di una visione che è centrale in certi ambienti esoterici, specie in quelli definiti aderenti a un satanismo intellettuale contrapposto a quello rituale che si prende beffe della religione cristiana scimmiottandone le forme e le cerimonie. “Se voi credete di essere soltanto uomini, esseri staccati da Dio e diversi da lui, non potete sperare un mutamento, e il destino continuerà a sovrastarvi. Perché non credete che la vostra stessa bocca sia quella di Dio? Perché non dite a voi stessi: io sono Dio?” Una visione, ovviamente, narcisista che porterà a effetti apocalittici a fine romanzo, per l'incapacità dell'uomo medio di guardare oltre la vita che ci circonda. Una catastrofe di portata tale da travolgere tutti i protagonisti della vicenda sotto un tambureggiare che è orchestrato da Lucifero in persona. Meyrink tratteggia le forme del principe della notte (“Era un essere nudo, dal colorito oscuro, con i fianchi ravvolti da una pelle, magro e con una mitria nera sul capo dalla quale si sprigionavano scintille dorate”), dandogli però una caratterizzazione a mio avviso più neutrale che malvagia, alla stregua di un ispiratore che da buoni consigli ma al contempo occhieggia e tenta gli uomini portandoli dai valori spirituali (che lo stesso afferma esser basilari) a quelli materiali, poiché ogni desiderio è carnale e legato alla sfera sessuale, con conseguenziale morte dell'anima e perdita dell'Io.

Dunque un contenuto che fa de La Notte di Valpurga un romanzo che è tutto meno che narrativa dell'orrore. Chi sceglie di leggerlo pensando di aver a che fare con letteratura di intrattenimento o con una costruzione incentrata su un soggetto sprovvisto di letture ulteriori ai meri fatti narrati è anni luce fuori strada. Siamo al cospetto di un'opera complessa consigliabile solo a uno zoccolo duro di appassionati e studiosi, non certo a un lettore medio, figurarsi per chi pensa all'horror con accezione cinematografica. Meyrink trova anche spazio per la politica e lo fa denotando uno spiccato pessimismo. Fornisce un passaggio in perfetta sintonia col messaggio del peone interpretato da Steiger in Giù la Testa, quando dice che l'aspirazione dei politici popolari (anarchici e socialisti) è mascherata da buoni quanto mendaci propositi, col fine ultimo di prendere il posto della classe dirigente per mutuarne gli atteggiamenti e non rispettare quanto concordato alla vigilia della lotta (“la brama dello schiavo di divenire signore”). Rivolte e sommosse non portano a niente, se non alla morte della povera gente, come dice Steiger nel famoso film diretto da Sergio Leone e come succede nel delirante epilogo del romanzo che sembra fungere da presagio all'imminente crollo dell'impero austroungarico (di cui Praga faceva parte).


Il triangolo magico, in una vecchia copertina 
del romanzo,
 ideale congiunzione
con MAGIA ROSSA
di Manfredi

Chi non è capace di sentire le cose serie nell'umoristico, non è nemmeno capace di sentire l'umoristico e il comico che si cela dietro quella falsa serietà, che i bacchettoni considerano la suprema misura di una virilità dignitosa... La suprema sapienza va in veste di pazzia!”