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giovedì 10 marzo 2011

AYRTON & STEFAN, geni della velocità col casco benedetto dal giallo e una signora in nero alle calcagne



Nella foto di sinistra: Stefan Bellof.

Nella foto di destra: Senna (in piedi) e Bellof all'interno dell'autovettura, credo durante un provino con la McLaren.


Posto il link di questo stralcio di documentario su SENNA. La sintesi di una corsa straordinaria dove, alla guida di una macchina mediocre, Senna mette tutti in riga in una specie di sceneggiatura crepuscolare dove il campione del mondo in carica (Nelson Piquet) si ritira mestamente a bordo pista, mentre i più blasonati campioni (Prost, Lauda, Mansell, Arnoux, Rosberg) sono in crisi. Prost vince grazie all'intervento dei commissari, mentre Senna alza il pugno al cielo anche se è arrivato secondo perché si considera il vincitore morale della competizione.

Nel video non si vede, ma terzo - sempre alla guida di una macchina mediocre (la Tyrrell) e anche lui debuttante nella stagione e alla sesta gara in formula 1- era arrivata un'altra grande stella morta troppo presto (a soli 27 anni), STEFAN BELLOF (detiene ancora il record del giro più veloce sul vecchio tracciato del Nurbruring).

Peccato non ci sia l'immagine di quell'epico podio dove piccoli grandi uomini misero sotto il blasone e la potenza economica dei colossi dell'automobilismo. Quando la classe supera la forza del soldo.



Qua il video.

http://www.youtube.com/watch?v=CdBKoDWNmJE&feature=related


Qua invece la rimonta di Bellof fino al terzo posto

http://www.youtube.com/watch?v=uIbaDM0Qfs8



mercoledì 9 marzo 2011

Recensione antologia "I mille volti del terrore"



I MILLE VOLTI DEL TERRORE

Autore: AA. VV.

Curatore: Gerald W. Page

Anno di uscita: 1978

Casa editrice: Newton

Pagine: 245


Commento di Matteo Mancini

Ennesima antologia horror uscita negli Stati Uniti nel 1978 col titolo “The Year's Best Horror Stories. Serie VI” e da noi pubblicata col titolo “I mille volti del terrore”. L'opera, predisposta dall'antologista Gerald W. Page - che aveva curato anche la V serie della collana da noi edita col titolo “La stirpe della tomba” - raccoglie quattordici racconti scritti, tra il 1976 e il 1978, da autori per lo più di blasone.

I testi raccolti possono esser catalogati in tre grandi gruppi. Il primo di questi coinvolge racconti vicini alla Sword & Sorcery e altri vicini all'orrore tipico di maestri del calibro di Lovecraft e Robert E. Howard. In questo gruppo, senz'altro il più appassionante e fascinoso dell'opera, rientrano i racconti di Manly W. Wellman, Karl E. Wagner, Tanith Lee e la piacevole sorpresa costituita da un autore che non conoscevo, cioè William S. Home.

Un secondo gruppo di testi, invece, utilizza l'horror come metafora per parlare dei disguidi familiari o di malesseri che coinvolgono l'intera società. Si tratta di un complesso di lavori abbastanza qualitativi tra cui spiccano i testi di Stephen King e David Compton subito seguiti, in termine di valore, da quelli di Russell Kirk e Charles L. Grant.

I restanti testi rielaborano il genere in una prospettiva moderna senza lasciare segni indelebili anche a causa di stili votati all'efficacia piuttosto che all'eleganza.

Procediamo però nel dettaglio.La palma per il migliore racconto dell'antologia va a Stephen King e al suo cavallo di battaglia “I figli del grano” (testo inserito nell'antologia “A volte ritornano”). Al centro della vicenda abbiamo una coppia di automobilisti che ha la sventura di sconfinare in una desolata cittadina governata da adolescenti. I due si troveranno al cospetto di ragazzi che si suicidano prima di diventare adulti in onore di un demone chiamato "Colui che Cammina tra i Filari". Ha così inizio una caccia all'adulto organizzata da un paese che rifiuta la maturità quasi a evidenziare l'insicurezza che pervade la gioventù moderna al cospetto delle responsabilità tipiche della vita adulta. Si tratta di un testo molto valido sia per i contenuti metaforici che per la cura nella descrizione delle scenografie e per la capacità di creare un tasso di tensione e di coinvolgimento che non ha nulla da invidiare ai capisaldi del genere. Senz'altro tra i migliori cinque racconti dell'intera produzione kinghiana.

Gli adolescenti tornano protagonisti in “In fondo al giardino” di David Compton e in “Se arriva Damon” di Charles Grant. Entrambi gli elaborati hanno in comune la sofferenza che si riflette sui minori a causa della superficialità di genitori più interessati ai bisogni propri piuttosto che al sostegno morale dei figli. Assai qualitativo, anche se dal taglio grottesco e burlone, il testo di Compton. Compton narra la storia di una bambina che racconta ai genitori, senza solleticarne l'interesse, di aver conosciuto una ragazzina con i denti pelosi che compie miracoli. Nell'apatia di padre e madre, la bambina viene aiutata dall'amica aliena a superare i propri complessi grazie a interventi con i quali l'aliena sistema l'arcata dentaria della piccina e le promette di risolverle le frequenti emicranie.I genitori però si ostinano a credere a ciò che fa loro comodo senza dar credito alle spiegazioni della figlia. L'ottusità degli adulti porterà alla morte della piccola e alla scomparsa dell'aliena. Un testo dunque che evidenzia i problemi di comunicazione tra genitori e figli, con conseguenze tragiche e irrecuperabili.

Decisamente meno fantastico è il racconto di Grant. In “Se arriva Damon” (racconto peraltro inserito nella gigantesca antologia “Il colore del male”) è la separazione dei genitori a destabilizzare il giovane protagonista della storia. Se la matrice del malessere è diversa rispetto a quella della vicenda narrata da Compton, non cambia il risultato finale che culmina pur sempre con la morte del piccolo e con i sensi di colpa dei genitori. Nella fattispecie, il padre finisce col credere di esser perseguitato dal fantasma del figlio. Siamo dunque alle prese col racconto più triste del lotto e forse quello che, seppur poco coinvolgente, presenta i migliori spunti di riflessione.

Molto Kinghiano è il testo di Russel Kirk, autore poco conosciuto in Italia ma molto appoggiato in America. “La lunga, lunga strada” è un autentico cavallo di battaglia dell'autore, tanto da esser inserito in più antologie (“Il colore del male” e “Racconti senza respiro”) e da aggiudicarsi il World Fantasy Award del 1977. Si tratta di una ghost story che si sviluppa molto lentamente, al punto da rievocare certi racconti di Algernon Blackwood (penso a “I salici” e forse non è un caso se anche nel testo di Kirk ci sia un gruppo di alberi a farla da padrone: gli aceri) e “Shining” di Stephen King (uscito nello stesso anno) da cui mutua l'idea della grande casa (nel romanzo era un hotel) abbandonata in cui riemergono orrori passati - con tanto di assassini armati di asce che sbattono sulle porte per uccidere donne e bambini – e da cui è impossibile scappare perché isolata da una bufera di neve. Rispetto a King, Kirk introduce una serie di riflessioni su purgatorio e inferno e sull'anima di uno spirito dannato. L'anima viene infatti vista come un'essenza che resta imprigionata nei luoghi in cui è morto il corpo senza alcuna coscienza del proprio stato e con la tortura di rivivere ciclicamente in terza persona gli episodi finali che ne hanno segnato la fine.

Non meritano invece più di un breve cenno “Io sento il buio” di Dennis Etchison (autore ancora una volta deludente nonostante la presenza pressoché costante in questo tipo di antologie) e “Ricordo di un amore” di Martin Bishop (autore più ferrato nella sci-fi). Entrambi i testi sono piuttosto noiosi e di scarso interesse. Il primo, peraltro scritto in modo da rendere faticosa la lettura, parla di un uxoricidio con la moglie della vittima che cerca di farsi aiutare da amici per camuffare il delitto come giustificato da una legittima difesa. Il secondo, leggermente più brioso, verte sulla vendetta di un ragazzo nei confronti della donna che gli ha rubato il padre. Il giovane, rappresentante di articoli caratteristici, avvicina la donna con l'intento di rifornirle il negozio con dei prodotti innovativi. La donna non sa di avere davanti il figlio della vecchia e indimenticata fiamma, lo scoprirà solo in seguito dopo che il giovane confezionerà una trovata commerciale che ricorda alla donna un fatto tristissimo della sua vita.

Entriamo nell'orrore esoterico con il lotto dei testi presentati da Karl Wagner, Tanith Lee, William S. Home e Manly W. Wellmann. Non si tratta di testi trascendentali, né dotati di una certa originalità, ma di storie scritte in modo elegante e capaci di intrattenere a dovere lo spettatore regalandogli più di un brivido.Più in particolare i primi due autori di questo poker propongono storie riconducibili al sottogenere sword & sorcery,mentre gli altri si orientano verso un genere che richiama alla memoria la narrativa di Howard P. Lovecraft.

Wagner, in “Kane, il maledetto”, mette in scena uno dei suoi personaggi più ricorrenti, cioè Kane (una sorta di Conan in chiave ribaltata). Kane è un immortale mago dedito alla negromanzia, abile con la spada e la magia nera. L'uomo tiene sotto sortilegio una giovane donna di cui è innamorato. La giovane, però, non lo ricambia e fa di tutto per ordire dei tentativi di assassinio ai suoi danni, tradendolo con uomini della più disparata specie. Kane ucciderà uno a uno i vari pretendenti, fino a cedere al cospetto di un marinaio che trasporterà via mare la giovane non sapendo di avere a che fare con un corpo deceduto molti anni prima e tenuto in vita solo grazie agli infusi di Kane. Il testo è scritto in modo magistrale, impreziosito dai trucchi di un Wagner che nasconde nell'ombra rapaci e stilla una magia esoterica che è palpabile a ogni pagina.

Sulla scia di Wagner è “Bianco inverno” di Tanith Lee. Qui protagonista è un guerriero medievale che, circondato dai suoi uomini e dalle amanti, razzia e distrugge villaggi. A rovinare l'egemonia dell'uomo sarà un flauto, con una gemma incastonata al suo interno, che il guerriero raccoglierà in una delle tante razzie. L'organo, infatti, libera lo spettro di una donna diafana che segue il guerriero in ogni spostamento, facendo imbizzarrire i cavalli. Crovak, questo il nome del guerriero, finirà col violentare la donna – che peraltro non viene vista da nessun altro - mettendola incinta e finendo a poco a poco con l'impazzire con conseguente deperimento nel fisico e relativo confinamento in una baracca.

Più convenzionali gli altri due racconti con il maestro Wellmann che, con “La custode”, propone un personaggio decisamente stereotipato. Protagonista del racconto, infatti, è il classico americano in visita in una vecchia magione della campagna inglese appartenuta in passato a un antenato dell'uomo. All'interno della struttura c'è un demone nero a cui viene impedito di uscire all'aperto grazie a una lingua morta conosciuta solo dalla custode deputata a tenerlo a bada.

William S. Home, invece, confeziona una storia (“Una ragnatela di vene pulsanti”) che verte su una profanazione di una tomba al cui interno è custodita una strana creatura alata. Home, autore per sfortuna poco tradotto in Italia, da sfoggio di uno stile che abbonda in aggettivi e mira al colpo a effetto, fino a cadere nel lezioso, grazie a una scelta accurata delle parole. Il racconto parte molto bene, con un'atmosfera claustrofobica e sinistra. Purtroppo si affloscia un po' sul finale, con un epilogo non all'altezza delle aspettative.

Tra i restanti racconti, merita una segnalazione “I signori dei cavalli” di Lisa Tuttle. Il testo (inserito anche nell'antologia “Terrore!”) ha per oggetto vecchie maledizioni indiane che si manifestano sotto forma di possessioni diaboliche. Degna di particolare nota è la descrizione in flashback del massacro compiuto da dei cavalli carnivori a causa dell'influenza degli spiriti maligni.

I restanti racconti non brillano per genialità. Tra questi troviamo: “L'adescamento” del sopravvalutatissimo Ramsey Campbell (qui con un racconto leggermente superiore alla sua media) il quale ricorre a un ragno che tesse ragnatele che sembrano crepe schiantate sui muri di una casa; e due racconti dal soggetto trito e ritrito cioè “Il colmo della fortuna” di David Drake (carina solo la trovata finale in cui, in una giungla del Vietnam, si fa morire il licantropo grazie a una moneta d'argento lanciata nelle ferite aperte sul petto della bestia) e “Urlando per uscire” di Janet Fox il quale, curiosamente, ha la stessa idea di base (donna abulica che assorbe l'uomo che la corteggia, per poi trasformarsi in un verme che scompare sotto terra) di “Cibo” di Thomas Tessier presente nell'antologia “In principio era il male” (uno dei due scrittori ha copiato l'altro). In definitiva siamo al cospetto di un'antologia di pronta lettura che propone qualche testo di ottimo spessore e molti altri di mero intrattenimento. Tra alti e bassi. Voto: 6,5

venerdì 4 marzo 2011

Recensione della mia antologia "SULLE RIVE DEL CREPUSCOLO" (GDS Edizioni)"


Al seguente link potrete leggere la recensione di PATRIZIA BIRTOLO della mia antologia "Sulle rive del crepuscolo"


http://braviautori.blogspot.com/2011/03/recensione-sulle-rive-del-crepuscolo.html


Nella foto il sottoscritto in mezzo alle sue due antologie "La lunga ascesa dal mare delle tenebre" e "Sulle rive del crepuscolo" entrambe edite da GDS Edizioni di Milano.